Quest'opera esprime tutti i caratteri salienti della pittura di Filippo Palizzi dove l'attenta disposizione degli animali ruota attorno alla figura centrale della contadina e del bambino che cerca di abbracciarla. Lo stesso campionario degli animali risulta quanto mai ricco e vario: il cavallo, le pecore ed il cane che viene distratto dal volo radente di un uccellino.
Ma è importante la circostanza che un simile insieme non si esaurisce in una pedante elencazione e che lo stesso intenso verismo cui si attiene l'artista, si puntualizza nella definizione dei caratteri propri dei soggetti ripresi. La pittura, nella sua oggettività è carica di luce e l'atmosfera viene dilatata dall'ampio cielo. D'altronde è risaputo che l'artista preferiva il contatto diretto con la natura anziché frequentare le buie aule dell'Accademia di Napoli.
A Palizzi interessava esclusivamente immergersi nel suo mondo creativo collocando al primo posto gli animali più mansueti e più vicini all'attività pastorale. Questo amore verso gli animali li faceva risultare più belli della realtà perché ad essi veniva portata in dote un'esuberanza cromatica che, come una calda carezza, si posava sugli animali velandoli con un'aureola di bontà. E' infatti essenzialmente un tributo d'amore questo pittoresco e felice squarcio naturalistico, che Palizzi interpreta con un profondo amore verso le persone e soprattutto per gli animali.
Il quadro già in Raccolta Gustavo Galassi, è stato esposto in diverse rassegne fra le quali la Galleria Geri di Milano nel 1918 e quella più recente della Galleria Vittoria Colonna di Napoli.
Rosario Caputo
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